INTERVISTA ALLA COMPAGNIA MALABRANCA TEATRO

Lavinia Morisco intervista Malabranca Teatro a proposito dello spettacolo L’Amantide – Love Macht Frei

25 luglio 2015. Gualtieri. Festival Direction Under 30. Secondo giorno. Si respira aria di theatre experience a pieni polmoni in un locus amoenus dove sembra che il tempo sia sospeso. Sono le ore 21.00 e ci sono soltanto 20’ minuti per intervistare i Malabranca Teatro prima del prossimo spettacolo. La gara è ancora aperta, il fiato sospeso, ma l’atmosfera distesa. Sono Umbri, sono in cinque (Giodo Agrusta, Daniele Menghini, Cristina Daniele, Ludovico Rohl, Manuel Menghini) stanno compilando il borderò e mi attendono di fronte al Bar Teatro, ormai un ambiente familiare e accogliente.

A prendere la parola è Daniele Menghini  regista e attore protagonista dello spettacolo “L’Amantide – Love Macht Frei”.

1)Chi sono i Malabranca Teatro? Qual è il loro excursus nel mondo del Teatro?

<< I Malabranca Teatro sono una compagnia giovane nata da poco, esattamente due anni fa. In seguito al percorso teatrale all’interno della “Scuola di Gastone e Moschin” a Terni, abbiamo pensato di riunirci e azzardare un percorso teatrale.

Il nostro primo spettacolo è stato il risultato di uno studio su “L’Orso” di Checov da cui il titolo “Bignè. L’amore è Checov” presentato al Todi Festival nel 2014 e poi selezionato dal Roma Film Festival  dove ha vinto il Premio Spirito Fringe.

Il secondo lavoro “L’Amantide – Love Macht Frei” è ispirato a un testo di Goffredo Parise del 1963 letto l’estate scorsa e che ci ha affascinato subito. Il lavoro di messa in scena iniziato a ottobre, è stato presentato in anteprima lo scorso maggio a Gualdo Cattaneo all’interno di una stagione teatrale curata da Ciro masella. >>

2)Entriamo nel vivo dello spettacolo presentato e selezionato al Festival Direction Under 30 2015 “L’Amantide – Love Macht Frei”.

All’interno di questo rapporto coniugale-gabbia portato al paradosso che lavoro drammaturgico c’è stato dietro la relazione tra i due coniugi e la scenografia?E’ una scena sviluppata su più livelli e utilizzata in senso verticale dove torna con insistenza l’elemento-metaforico della gabbia.

<< Si, per questo bisogna fare un passo indietro all’analisi del testo di Parise. Il testo ha cinquanta anni e è stato scritto nel ‘63. L’autore lo scrive dopo un’esperienza matrimoniale fallimentare. Nel testo ci ha colpito molto il binario parallelo alla storia del cavallo: una moglie che parte dal capriccio di farsi portare in braccio per poi degenerare nella pretesa di trasformare il marito in un cavallo. Questa nota assurda del testo ha attirato la nostra attenzione. Trovare dei toni assurdi in un testo così italiano e così “nostrano” – collocato in un’epoca in cui Pasolini andava in giro per l’Italia a chiedere agli italiani cosa ne pensano dell’amore, del matrimonio e dei tabù sessuali – diventava interessante per il nostro lavoro. Il rapporto tra Glauco e Romana è essenzialmente basato sulla incomunicabilità. Quello che nel testo c’è tra la moglie e il marito può essere ritrovato nel rapporto tra genitore e figli, tra marito e moglie, tra moglie e figli, è un tema universale.

Tornando alla domanda sulla scenografia, Parise parla di un appartamento realistico con fogge anni Sessanta e mobili moderni di tipo serie, piuttosto anonimi. Quando ho letto il testo ho pensato a una scenografia che mettesse in evidenza questo sbaglio prospettico del rapporto, perché Glauco fondamentalmente si trova al fianco di una moglie che non riconosce più. Così ho pensato di provare a creare questo errore di prospettiva andando ad agire su due sedie e un tavolo, elementi tipici del focolare domestico, ma andandoli completamente a deformare. Una sedia ricorda una foggia a gabbia, ma allo stesso tempo è anche la sedia, quella di Glauco . Solo alla fine vedremo Glauco nella posizione più alta su quella che è una scala verso il cielo, ma ne verrà subito spodestato dalla moglie che lo riporta all’ordine. Il lavoro sulla scenografia è stato un lavoro drammaturgico. Abbiamo costruito un vero e proprio dialogo con la scenografia.>>

4)Dentro questo relazione dominatore-dominato di evocazione pinteriana collocata dentro uno spazio claustrofobico e occlusivo da Teatro dell’Assurdo, che ruolo ha avuto l’insinuazione delle voci fuori campo, da cui si poteva evincere la presenza autoritaria di figure genitoriali onnipresenti?

<< In realtà nel testo di Parise c’è una sola battuta che viene fuori campo, che abbiamo deciso di mantenere all’interno della drammaturgia. E’ la voce di una vicina che bussa durante una litigata tra Glauco e Romana dal piano superiore urlando “la faccia finita, smetta di tormentare questa povera donna, si faccia cavalcare e basta perché in condominio si ha diritto di stare tranquilli”. Abbiamo fatto un intervento drammaturgico a partire dal testo, scrivendo i diari della protagonista Romana. In questi scritti c’è la presenza della madre di Romana, un personaggio  del testo di Parise e che sottopone la figlia a questa iniziazione all’educazione. La madre si presenta in casa con il marito bardato da cavallo (con le redini). Siamo partiti dal testo che abbiamo scritto – in particolare dal primo diario di Romana – dove si racconta del suo incontro con il padre a casa di notte, rosso in volto e in canottiera – ma non capisce cosa sia successo. L’intervento della voce fuori campo che entra in casa, è anche un po’ l’opinione pubblica: come il mondo fuori può intervenire all’interno della casa e della coppia. >>

5)In questo modo lo spettatore diventa un po’ un voyeur indiscreto dell’intimità coniugale, spia la relazione dall’esterno, ma senza mai prendervi parte.

<< Esatto, la struttura della scena va in questo senso. Nonostante ci sia una frontalità della scena con il pubblico, quasi un’illusoria comunicazione con il pubblico, in realtà i personaggi si parlano addosso. La quarta parete rimane comunque intatta pur essendoci questa finta relazione. >>

6)Nonostante lo spettacolo metta in evidenza la figura di una donna forte e dominatrice e a tratti negativa, in realtà l’intera vicenda è osservata e vissuta dal punto di vista dell’uomo-marito. Non pensate possa essere stata una scelta azzardata-rischiosa?

<<Il testo è scritto secondo la prospettiva dell’uomo, anche se in realtà c’è un’analisi approfondita sulla donna e sulla moglie. La richiesta della donna di montare a cavallo al marito è un po’ una richiesta di amore, di attenzione, di presenza che è presente in tutte le relazioni e coppie.  Nel testo è stata superata la banalità del quotidiano. Si tratta di un elemento assurdo estremo, fuori da qualsiasi logica: lei che gli chiede – “portami sulle braccia” – diventa una grande metafora dell’amare e dell’essere in due. Abbiamo riscontrato una forte contemporaneità all’interno di questo testo nell’aspetto relativo all’incomunicabilità che c’è tra i personaggi.

La messa in scena va infatti in questa direzione e la sfida è stata quella di partire da un testo che non è drammaturgicamente contemporaneo, pur essendoci dei temi che possono ricondurre all’attualità messi in chiave contemporanea. >>

7) La figura di questa figura femminile è sdoppiata in una seconda donna dai connotati maschili e potremmo dire triplicata nella presenza autoritaria della madre, anch’essa impersonata da un uomo. Potremmo pensare alla lettura di un delirio psicologico di Glauco somatizzato nel delirio delle percezioni all’interno della relazione con sua moglie della quale è un po’ succube e da cui è un po’ dipendente?

<< Questa regia pur staccandosi dal testo, parte profondamente dal testo. Questa idea di affidare la seconda parte della moglie a un attore uomo, parte da una didascalia di Parise all’interno del testo.  All’inizio del terzo quadro, dopo il monologo di Glauco che torna a casa dopo il lavoro e trova la casa completamente in disordine, Parise scrive: “appare Romana irriconoscibile” con capelli arruffati e pantofole ai piedi.  Questo “irriconoscibile” oltre a appartenere allo scrittore onnisciente che si fa portavoce, è la percezione del marito, naturalmente. Abbiamo deciso di estremizzare questo aspetto cambiando attore. E’ stata una scelta d’azzardo, perché i personaggi sono pochi, tre personaggi per quattro attori. Il fatto di pensare di portare in scena un attore per mettere in luce l’aspetto della romana sposa che però nasce dalla romana bambina figlia, va poi ad amplificarsi effettivamente nella presenza della madre. A tal proposito c’è un piccolo dettaglio che non so se è stato chiaro: tutte e tre le donne hanno i guanti. Glauco è l’unico che ha le mani nude, segno di chiarezza , di limpidezza e di ingenuità. Chi ha bisogno di mettersi i guanti in qualche modo ha qualcosa da nascondere. Romana ha dei guanti tecnici da cavallo mentre la madre indossa guanti più raffinati, forse perché non ha più bisogno di tirare le redini:  la dominazione ormai è molto più psicologica. >>

 

L'Amantide