Ciao Ezio

18 maggio 2020.

Riusciamo a scrivere soltanto ora. Nei giorni scorsi la voce ci è venuta a mancare, perché il Maestro Ezio Bosso per noi è sempre stato e sarà sempre semplicemente Ezio. Un amico.

Un amico del Teatro Sociale, dall’inizio, dalla prima riapertura nel 2009; e un amico mio e di Rita da prima ancora, dal 2004 quando ci siamo incontrati per la prima volta a Monchiero nelle Langhe. Ancora adesso ci risulta difficile scrivere, perché nel raccontare questi anni di stretto legame con Ezio emergono contemporaneamente ricordi privati e ricordi pubblici, e diventa complesso scegliere cosa condividere.

Nel 2009 Ezio aveva risposto “sì”, un “sì” senza esitazioni, incondizionato, quando lo avevamo chiamato per dirgli che stavamo riaprendo un teatro e che ci avrebbe fatto piacere che lui venisse a suonare. Sarebbe stato il primo di una lunga serie di sì, il primo dei tanti concerti che Ezio ha regalato a noi e a Gualtieri.
Ezio da subito ha abbracciato la nostra impresa, quella di risollevare un teatro dalla polvere. Si entusiasmava quando parlava ad altri di “Cantiere Aperto”, perché l’idea di un pubblico armato di badili e carriole che si prende cura di uno spazio dedicato all’arte rispecchiava in pieno la sua idea di un’arte di tutti, accessibile a tutti senza distinzioni di classe o gerarchia culturale. Per questo il Teatro Sociale era diventato il suo teatro, e Gualtieri in qualche modo il suo paese natale d’elezione.

Ezio in questi anni ci ha dato tantissimo. Per l’idea di Teatro Sociale che abbiamo condiviso con lui ha costruito e realizzato utopie, come l’impresa folle di questi ultimi anni di portare un’orchestra di 50 elementi a suonare in un teatro piccolo come il nostro.

In questo momento si succedono nei racconti che stiamo condividendo tra noi molte immagini. Ezio che, arrivando a Gualtieri in macchina, perde quasi il fiato per il verde dei campi tutto attorno. Le innumerevoli birrette al bar. Le interminabili cene da Nizzoli, dalla Gianna o dalla zia Adriana. Le discussioni sino a tarda notte. La settimana di prove sotto i portici e poi il concerto dopo il sisma del 2012 in cui Ezio tornava a suonare in pubblico per la prima volta. Il nubifragio temporalesco – quasi a sfogare un pianto trattenuto – alla fine del concerto del 27 luglio 2016 in Piazza Bentivoglio, appena suonata l’ultima nota di Rain. In Your Black Eyes. Una delle tante tempeste perfette che ha scatenato.

Ma su tutto c’è la musica. Con la sua musica Ezio ci ha esercitato alla dinamica, una dinamica delle emozioni, del respiro; una dinamica con cui era in grado di percorrere lo spettro cromatico di cui siamo fatti in tutta la sua ampiezza, nelle tre dimensioni.

Ezio andava alla ricerca dell’inaspettato, della nota in levare, del fortissimo o del pianissimo del tutto inattesi, del sorriso nel pieno della tristezza, della frase perfettamente escogitata che disinnesca in un secondo la retorica dei discorsi seri (come quelli che stiamo facendo qui ad esempio, siamo certi che Ezio ha in serbo per noi da qualche parte due parole, due note, capaci di rovesciare in un attimo tutto il serio di queste nostre righe).

Il suo pensiero e la sua musica erano sempre in controfase, come la sua bacchetta quando dirigeva. Colpiva ogni volta fuori dal baricentro, fuori dal punto dell’attesa comune, per generare movimento, per generare cambiamento, rivoluzione potremmo dire. Ogni tanto questo suo modo dava fastidio o non era capito, alcuni gli si schieravano contro in inimicizia, a volte anche noi amici faticavamo a seguirlo. Era solitario nelle sue battaglie, ma condivideva le conquiste con tutti quelli che gli stavano attorno.

Con la sua musica ci ha insegnato a conoscere e ritrovare respiri che non conoscevamo o che non ritrovavamo più da tempo. E ci ha insegnato a farlo come in orchestra, all’unisono. Ci ha sollevato con cautela ogni volta, ci ha tenuti sospesi e fatti precipitare, per poi risollevarci di nuovo con esultanza vera, sorridendo tutti assieme. E di qui viene a pensare alla forza di Ezio che prima suonando il contrabbasso circondato dai suoi archi, poi in punta di dita sul pianoforte e in ultimo in punta di bacchetta, era in grado di sollevare migliaia di persone contemporaneamente. Una forza così non va perduta.

Ciao Ezio. Ancora un altro abbraccio.

Riccardo, Rita
e tutto il Teatro Sociale di Gualtieri di oggi e di ieri
Andrea, Davide, Silvia, Lorenzo, Nicolò, Anna, Federico, Sara, Giorgia, Giovanni, Adele, Mattia.