Recensione: “Mettere a nudo il Re. Alessandro Blasioli e il debutto di Sciaboletta”

I fasci luminosi di due torce elettriche in movimento entrano in scena squarciando il buio del palcoscenico “rovesciato” del Teatro Sociale di Gualtieri. Sono fari che si muovono precipitosi nello spazio, roteano caoticamente fino ad arrivare alla sedia posta al centro di una scena che non accoglie altro. A tenerle in mano è l’attore Alessandro Blasioli, vestito da soldato in divisa fascista con tanto di elmetto in testa, in debutto nazionale al festival Direction Under 30 con il monologo Sciaboletta. La sua voce è alta e cristallina, da cronista d’assalto, e accompagnata da un sottofondo di suoni di aerei, bombe, ronzii tumultuosi, che ricorda il genere del radiodramma. In pochissimi secondi fagocita il pubblico nel vortice burrascoso di una narrazione dal ritmo serrato, che ha inizio in medias res: è notte, sono le ore che seguono la dichiarazione di armistizio con gli alleati ed è in atto una fuga scapigliata e roboante a bordo di un’automobile, quella del re Vittorio Emanuele III di Savoia, chiamato in confidenza dal narratore-Blasioli «Vittorino». Alla voce del narratore degli eventi storici – il capolinea e la resa di fronte al nemico dello Stato Maggiore Italiano – l’attore alterna nella sua recitazione, sin da subito e senza soluzione di continuità, una polifonia di voci di personaggi. Brevissime scenette, sketch di “botte e risposte” spesso comici, rocamboleschi e surreali, che animano il racconto storico, quasi fossero vignette di un libro illustrato. La capacità espressiva di Blasioli, per anni membro della Compagnia Sasiski di commedia dell’arte, permette di “giocare” infatti con figure/maschere trasformate in vere e proprie caricature dalle deformazioni vocali della recitazione e visive delle luci di scena – come nel caso dell’esilarante incontro, quasi da commedia degli errori, tra la macchina in fuga con a bordo il re terrorizzato dalle conseguenze della dichiarazione d’armistizio e un soldato «crucco» fermo a un posto di blocco tedesco. Di fatto lo stesso personaggio del re, soprannominato dal popolo “Sciaboletta” perché gli era stata tagliata la spada, essendo questi troppo basso per poterla tenere legata alla cintola, è declinato in chiave grottesca. Colto nella sua estrema goffaggine, si esprime con un registro basso, dagli accenti napoletani, si dimostra insicuro e spaventato dal nemico, tanto da chiedere che non venga nominato in sua presenza il nome di Hitler: un profilo assolutamente poco regale che stride con il contesto bellicoso che lo circonda. Un re ricordato dalla storia come il re “fascista” perché non oppose resistenza al colpo di stato di Mussolini ma che, «dovete sapere – dice il narratore rivolgendosi direttamente al pubblico – non era nemmeno un vero fascista». Blasioli sospende il racconto della guerra per approfondire con una prosa piana e didattica il rapporto ambiguo, si direbbe refrattario e passivo, che «Vittorino» intesse con il potere. Il suo carattere remissivo e la ferma volontà di salvare la corona sempre e a tutti i costi, senza rischiare mai nulla, permisero che atti di violenza prendessero il sopravvento sulle sorti del regno. «’A finit’ ‘a guerra», recita infatti Blasioli rivolto verso il pubblico con voce incredula e sospesa mentre ascolta il discorso radiofonico del capo del governo Pietro Badoglio, che dichiarando al popolo «l’Italia è in pace, siamo con gli Alleati!» si “dimentica” di metterlo in guardia contro i tedeschi, non più alleati ma ormai nemici. Ed è proprio al popolo italiano, ignaro dei giochi di potere più grandi di lui e vittima dell’impotenza e dell’inerzia del potere monarchico e militare, che l’autore non dimentica di prestare la sua attenzione, trasformando la semplice ricostruzione di un personaggio storico in un vero e proprio affresco dell’Italia di ieri, con i suoi paesaggi rurali, i castelli, le mucche abruzzesi, le radio ascoltate in casa e il paradossale entusiasmo patriottico per un re che di nascosto e vigliaccamente se la sta svignando. Una drammaturgia, quella di Sciaboletta, che se in alcuni punti risulta un po’ acerba e didascalica si fa forte della recitazione di Blasioli, energica e autentica allo stesso tempo. Pur in qualche “inciampo” di memoria nel corso della rappresentazione, questa infatti rivela tutta la tenacia e la forza vitale propria dei lavori “artigianali”, quelli in cui si è da soli a lavorare e plasmare la materia.

Vincitore del Premio delle Giurie a DU30 il teatro di Blasioli pone di certo una questione interessante all’interno di un festival di teatro contemporaneo e di giovani compagnie italiane: la scelta di guardare oggi alla storia del nostro passato rispettandola nella sua integrità e complessità di documento, di traccia leggibile nella continuità del tessuto storico e culturale che ci appartiene. Quello che Sciaboletta propone con chiarezza al pubblico è, in tempi grigi di ingovernabilità e di sentimenti populisti e fascismi di ritorno, una riappropriazione dello spazio impalpabile della Storia attraverso l’azione del nostro sguardo e della nostra immaginazione di spettatori. Sguardi molteplici, irriducibili nella propria singolarità, che uniti nell’azione comune e corale di guardare nella stessa direzione svelano un passato che forse ha ancora molto da dire sul nostro presente e sul nostro futuro.

 

Vittoria Majorana

Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 22.07.2018