Recensione: “Ionica”

Una sedia, un’orchestra di tre strumenti (chitarra, contrabbasso e clarinetto), un sapiente uso delle luci e, naturalmente, l’attore. Bastano pochi elementi per costruire la scena di Ionica di Alessandro Sesti, spettacolo vincitore del Premio della critica in quest’ultima edizione di Direction Under 30.

La sobrietà dell’impianto scenico, tipica del Teatro di narrazione, caratterizza l’intero spettacolo, in cui Sesti non lascia mai il palco. La storia comincia con un lungo viaggio in macchina: quasi nove ore di attraversamento dello stivale per raggiungere un angolo remoto della Calabria, Sant’Andrea Apostolo dello Jonio. “Pure Cristo si è fermato a Eboli, ti pare che io invece devo arrivare a Sant’Andrea Apostolo dello Jonio?”. Sembra proprio di sì, perché in quel lontano paesino del sud si sta per rinnovare un rito allegro e chiassoso: il pranzo di Natale.

Alessandro, lo capiamo subito, è un ospite, e come tale sarà sommerso di cibo e attenzioni insistenti e affettuose. È proprio nel rincorrersi rapido e ritmato del racconto dei momenti salienti del banchetto che cominciamo a intuire la presenza di due livelli in questo spettacolo, due atmosfere: quella frastornante ed euforica della festa del sud e quella raggelante della difficile realtà calabrese. Sono solo accenni, all’inizio, piccole stilettate che potrebbero quasi sfuggire, incastonate nei ritmi sincopati delle scene del pranzo. Poi, mano a mano che il racconto si srotola, i tempi di scambio tra i due livelli si fanno sempre più rapidi e intensi e il primo comincia a lasciare spazio al secondo, fino al momento di fusione completa in cui la realtà irrompe nella quotidianità festosa del Natale, mandando in frantumi lo specchio di allegria che la racchiudeva.

Quella di Ionica è una storia di mafia. O meglio: è la storia vera di Andrea Dominijanni, testimone di giustizia che nel 2014 ha avuto il coraggio di denunciare i componenti della ‘ndrangheta locale, dopo anni di vessazioni, minacce e ritorsioni. Da quel momento la quotidianità di Andrea è radicalmente cambiata: inserito nel programma di protezione testimoni, è seguito e sorvegliato in ogni suo gesto da un pugno di uomini che compongono la sua scorta, per garantire la sua incolumità e quella dei suoi parenti. È probabilmente questo l’aspetto più lontano dalla comprensione del grande pubblico, ed è per questo che Sesti ha deciso, per preparare il suo spettacolo, di condividere per due settimane la vita di Andrea. La resa di quest’ultimo personaggio, però, risulta in qualche modo carente: alla fine dello spettacolo sappiamo del suo gesto coraggioso e dei motivi che lo hanno spinto a compierlo, ma non cogliamo molto altro del suo carattere, della sua fisicità, della sua storia precedente. È comprensibile, forse, la scelta di non fornire troppi dettagli su Andrea, dettata probabilmente dal rispetto o dalla precauzione; avendo però vissuto a stretto contatto con lui, Sesti avrebbe potuto legarci di più alla storia che ci racconta utilizzando il suo punto di vista privilegiato, dando vita al suo personaggio attraverso la sua connessione con lui. L’impressione è insomma che manchi un po’ una traccia emotiva che ci lasci risalire fino al cuore della storia.

Uno dei pochi difetti di uno spettacolo che risulta comunque nel complesso coinvolgente e ben strutturato, anche e soprattutto nella scelta di prediligere il suono dal vivo e non registrato, utilizzato come parte integrante della costruzione della storia: le scene festose del pranzo sono state scritte appoggiandosi sulla musica, tutta composta per l’occasione.

È evidente, insomma, la maestria e l’esperienza di tutti gli elementi della compagnia, nel sapiente uso dei linguaggi tecnici dello spettacolo come di quelli concreti dell’attore. La voce vibrante di Sesti è padrona della scena, la riempie e la addensa nell’ultimo monologo. Ed è quella l’impressione che resta, alzandosi – la vibrazione di una storia che andava raccontata.

Ludovica Fasciani

 

Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 30.08.2020