Duramadre| Intervista DU30

DuraMadre

Nata nel 2016 da un’idea della regista Diana Ripani, la compagnia Duramadre pone alla base della propria ricerca artistica l’importanza delle origini, senza le quali non si può avere un’evoluzione che porti a una rivoluzione. Attenti alla società contemporanea senza perdere di vista la storia che ci ha preceduto.

Emergenza e crisi: due parole con cui la generazione under 30 ha imparato a convivere fino ad adattare sogni, aspirazioni e stili di vita a queste condizioni che da precarie sono diventate perenni. Ma chi lo ha deciso? E chi guadagna da questa situazione? Su questo terreno si sviluppa la ricerca drammaturgica di Duramadre, presente a Direction Under 30 con La perdita, in scena al Teatro Sociale di Gualtieri il 23 luglio. In scena due donne, un’anziana rude, sanguigna, esuberante che subisce l’abuso del potere del figlio dedito a privarla dei beni materiali dopo una catastrofe naturale, e una giovane ragazza bionda, dolce, ingenua e saggia, alter ego della protagonista. La violenza consumata tra le mura domestiche diventa la miniatura simbolica dei soprusi che il potere nelle varie forme ha consumato nei confronti della società.

Abbiamo incontrato la compagnia Duramadre dopo lo spettacolo, di seguito il resoconto della nostra chiacchierata.
La scena è dominata da uno spazio bianco e da alcuni fili che cadono dall’alto definendo un cerchio. Cosa rappresenta?
Scenograficamente volevamo rendere l’idea di una situazione alienante come quella che si crea dopo una catastrofe. Se pensiamo a una casa che ha subito una calamità naturale, come un’alluvione o un terremoto, la prima immagine che viene in mente è uno spazio asettico, vuoto. I fili che cadono dall’alto creano una gabbia, come si capisce anche dal prologo, a dimostrare che le situazioni di crisi ti ingabbiano. Una parte del nostro prologo prevedeva anche delle mani fluorescenti su un fondo buio, ma per motivi tecnici abbiamo modificato un po’.

Da cosa nasce la scelta della presenza dell’alter ego della protagonista che è una madre anziana?
Ci sono momenti storici in cui sentiamo alcune cose in modo più forte, come il bisogno di un alter ego e la ricerca di radici che si perdono, di trovare un modo di riappropriarsene per capire da dove veniamo e trovare una direzione. La vecchiaia rappresenta le radici, la ragazza giovane, alter ego della protagonista; è la sua saggezza che a volte finge ingenuità per donarle una dolcezza che le manca.

Emergenza e crisi costituiscono il nucleo della pièce, qual è la vostra riflessione personale a riguardo?
Nei momenti di crisi chi è disposto ad abusare ne approfitta: nella storia, nella società e persino in famiglia. Le calamità naturali possono sempre succedere, ciò che cambia è il nostro atteggiamento di attaccamento al benessere che ci porta ad avere un attaccamento eccessivo ai beni materiali. Una volta c’era un’abitudine a non avere certezze, mentre in questi anni ci siamo abituati a situazioni di crisi ed emergenza: L’Aquila nel 2009, l’Emilia Romagna nel 2012, la Liguria. Nello spettacolo sono presenti passi del Re Lear illuminanti e rappresentativi del rapporto genitori-figli quando si ha a che fare con il potere: in La perdita vittima e carnefice sono sullo stesso piano, perché chi subisce la privazione rivela una natura ferina e cinica.
Lingua tedesca e dialetto meridionale, una strana combinazione drammaturgica.
Ho scelto il dialetto, perché la parola grezza mi sembrava la più efficace per raccontare la situazione di una donna anziana sola, privata di tutto. Il fatto che fosse un dialetto meridionale è un caso, dovuto all’origine palermitana della protagonista. Anche i dialoghi sono semplici perché si tratta di una donna senza sovrastrutture. La scelta della lingua tedesca, invece, è nata in fase di prove, quando ci siamo resi conto che la Germania di Hitler rappresentava l’abuso di potere più grande della storia o almeno il più vivido nella memoria collettiva.

Intervista a cura di Laura Timpanaro e Sara Bonci