“ERINNI O DEL RIMORSO” DI ORTIKA – RECENSIONE DI CLIZIA RIVA

“ERINNI O DEL RIMORSO” DI ORTIKA

 

Un tuffo nel buio di ciò che è inafferrabile.

Una crociera ipnotica che parte da una tecnica vocale e da una prossemica accurata.

Le Erinni della compagnia Ortika non inseguono chi si macchia di un delitto carnale, ma chi sta uccidendo se stesso: le Erinni contemporanee perseguitano quella parte di noi che ci uccide, che ci fa sprofondare in un tunnel senza fine, che ci riduce a una copia di ciò che eravamo.

La depressione: la “Cosa Brutta” – come la definisce David Forster Wallace – è una morte nella stessa esistenza, un buco nero che inghiotte e che crea un perpetuo conflitto fra bianco e nero. Da tale male sorgono queste contemporanee divinità che ri-mordono, che nascono e scavano in noi, che cercano una vendetta e una catarsi. Una pace, che è – finalmente – vita.

Uno spettacolo costruito attraverso differenti fasi creative, su due facce della medesima medaglia, con le attrici Alice Conti e Veronica Lucchesi, coppia archetipica che sa scambiarsi il ruolo di carnefice e vittima o, forse, semplicemente di guida e di discente, di motivatrice e di perdente.

Setting dello spettacolo è una nave: un candido contenitore in cui tutto deve rimanere lindo, luccicante, dedito alla più perfetta ed equilibrata apparenza. Fil rouge della performance è una “crociera motivazionale”, di rieducazione al successo per chi poteva essere artista ed è diventata solo una fallimentare assicuratrice: un’ipnosi tra l’ironico e il grottesco, per uscire definitivamente dal grigio che sa inghiottire la luce, da quel ronzio che perseguita l’umano non compiuto, per annullare quella cicatrice sul volto, il segno di un rimorso quasi voluto, di cui si è quasi conniventi. “Essere tronco”: diventare del tutto impermeabili al contingente, a ciò che infastidisce, a ciò che sa ferire.

È preferibile avere un talento o esserne del tutto privi?

Le Ortika ci presentano una duplice risposta, innumerevoli quadri drammatici di quella depressione che non sa abbandonarti, che non sai sciogliere, che non vuoi lasciare andare.

Si parla col corpo e col ritmo: la voce scaturisce dall’incontro degli arti, dall’uso di una maschera che sa annullare l’umano e mostrarci unicamente la sofferenza soffocata.

In bilico fra la vita e la morte, fra chi vince e chi è del tutto annichilito, c’è chi galleggia in silenzio in una vasca che tutto copre, che tutto chiude, che tutto evita.