Recensione: “Pramkicker. Pop anglo-romanaccio”

Due sorelle all’alba dei trent’anni si ritrovano a parlarsi sinceramente per la prima volta, figliol prodighe dopo anni di tentativi d’indipendenza. Il tentativo di Pramkicker, messa in scena di Bimbos Factory per la regia di Federico Brugnone al debutto nazionale nella prima giornata del Festival Direction Under 30 di Gualtieri, è quello di mostrare due donne che affrontano situazioni che ci spingono a riflettere su diverse problematiche che numerose donne sono costrette ad affrontare nel corso della loro vita.

Il racconto comincia con una scena simbolica molto forte: Jude, la sorella maggiore, si vede costretta a frequentare un corso di gestione della rabbia dopo aver dato un forte calcio ad una carrozzina – vuota, per fortuna –; da qui capiamo che le due affrontano la vita con visioni opposte: mentre Jude non sente il minimo desiderio di maternità e torna nella casa dove è cresciuta dopo anni di disavventure per trovare sé stessa, la sorella Susie si ritrova alla fine di una relazione con il terrore che ad un certo punto il suo orologio biologico batterà l’ora fatidica. La frustrazione e il dolore delle due donne vengono prima negati dalle maschere di sicurezza indossate dalle sorelle, ma con un meccanismo simile espresse quando in scena compaiono dei personaggi identificati dalle buste di cartone che hanno in testa, raffiguranti i riconoscibili character-meme dei primissimi anni ’10, come la trollface” o la “b*tch please face”.

Scelta rischiosa quella di presentare all’interno del Festival una drammaturgia non originale: il testo è infatti una traduzione da parte delle attrici Caterina Marino e Beth McCreton del lavoro del 2016 di Sadie Hasler che ha raccolto grandi successi nel mondo anglosassone. Tanti sono i rischi che Bimbos Factory si è presa, non riuscendo sempre ad avere una resa e una sensibilità adeguate agli argomenti proposti. La modalità sfacciatamente pop che Pramkicker si prefigge di percorrere può sì tenere anche uno spettatore meno attento con lo sguardo incollato alla scena, ma rischia di trattare superficialmente le situazioni che mette in scena, pur trovando il coraggio di parlare ad un pubblico generalista di stupro o di scelte non convenzionali riguardo la gravidanza.

La recitazione, a tratti esasperata, corre sullo stesso binario; complice una traduzione non troppo adattata al contesto italiano che vede un continuo turpiloquio che rende nella lingua d’arrivo troppo letterali i flyin’ fuck della scatenata Jude in un delirio che distacca lo spettatore da una verosimiglianza linguistica che, forse, avrebbe potuto aumentare l’empatia tra palco e platea, nonostante il timido tentativo di inserire il personaggio interpretato da Caterina Marino in una parlata romanaccia, che si perde però nell’ambientazione inglese che il testo propone.

Del resto, la situazione propone varie occasioni di riflessione e confronto che, purtroppo, scadono spesso nella pura narrazione voyeuristica e incalzante del plot, che senza soluzione di continuità offre allo spettatore una serie infinita di disgrazie di fronte alla quale può solo arrendersi o godersi i momenti più pop e grottescamente divertenti, senza particolarmente soffermarsi sulle soluzioni suggerite dal testo, se non – blandamente – per l’ultimo risolutivo momento in cui Susie accetta la possibilità di non diventare madre, aspettando il momento e la situazione giusta per mettere al mondo un bambino. Un’occasione di confronto forse sprecata e sacrificata sull’altare della facile fruizione.

Matteo Mannocci

Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 19.07.2019