Recensione: “Tre in una”

La sera del 19 luglio 2019 è andato in scena, all’interno del festival Direction Under 30 del Teatro Sociale di Gualtieri, lo spettacolo Mamma son tanto felice perché, scritto, diretto e interpretato da Angelica Bifano, classe 1992. Il progetto, racconta Bifano, parte da un breve studio del 2017, sviluppato durante il suo percorso accademico.

Un set di luci calde e semplici bagna una scenografia estremamente asciutta, catapultandoci in pochi minuti all’interno del ricordo di una donna: una casa del Cilento pregna di cultura locale, che affiora alla memoria con precisione nostalgica. In questa cornice si sovrappongono i profondi solchi di tre generazioni: una nonna anziana, sua figlia Delfina (colei che rivive il ricordo) e la nipote di otto anni Alice. L’occasione del loro incontro è un acceso pranzo domenicale, che restituisce con intensità e dolcezza l’immagine del ruolo matriarcale in molti nuclei familiari del Meridione, in cui la donna è – racconta Bifano – «responsabile, custode e giudice della casa».

Nel ricordare, Delfina alterna un’incalzante linea narrativa ad alcuni momenti più distesi, durante i quali intona canti popolari a cappella che ci trasportano in una dimensione più viscerale, sospesa e malinconica. Durante il pranzo la nonna assiste e veglia sul rito, ansiosa e petulante, e lascia a tratti affiorare, specie verso la fine, il suo fondo di saggezza. Alice, che si trascina dietro i nodi della sua infanzia, fra cui la perdita della madre, straripa con la sovversione e la sincera ingenuità dei bambini in crescita. Delfina allestisce il pranzo e vi partecipa con amore e devozione, spendendo tutte le sue energie nel preservare un equilibrio familiare molto fragile, venato di crescite, ansie, frustrazioni, malinconie, piccole coalizioni interne e giochetti di potere dal risvolto umoristico, tenero e amaro insieme: caratteristiche, queste, comuni a molte famiglie, specie in presenza di importanti scarti generazionali. I personaggi si legano a pochi e semplici oggetti (uno scialle che può trasformarsi in coperta, una confezione di patatine fritte e alcune sedie) che ci aiutano nella loro individuazione e caratterizzazione.

La progressiva entrata in scena dei personaggi, cui se ne aggiungono altri secondari, mette fortemente alla prova Bifano, che si destreggia in rapidi e continui cambi di posizione nello spazio, postura, impostazione caratteriale e registro vocale. Denominatore comune è un timbro squillante ed energico, associato alle forti cadenze del dialetto campano, appena edulcorato per una maggior comprensione che non lo privi della sua forte impronta culturale.

Qualche dubbio desta la resa dei motivi che l’attrice e regista ha concepito come principali: le linee tematiche del lutto e della perdita, suggerite da alcuni canti e da riflessioni più o meno esplicite di Delfina, forse non sono adeguatamente radicate nella narrazione. La nostalgia del ricordo, marginalizzata agli estremi dello spettacolo, ha connessioni non del tutto chiare e solide con la storia e può per questo perdere di intensità e importanza. La trattazione limpida e precisa di un mondo culturale, familiare ed emotivo così intenso e personale, resta a tratti circoscritta al vissuto dell’attrice e forse non permette una totale immedesimazione da parte del pubblico meno vicino alla sua realtà. L’ardito e lodevole tentativo di controllare e caratterizzare in solitaria una famiglia intera ha reso purtroppo pastosi alcuni nodi cruciali nei delicati switch da un personaggio all’altro.

Nulla di tutto questo toglie valore al coraggio e alla determinazione dimostrati da Angelica Bifano, in uno spettacolo ancora giovane, dalla gestazione e dalla resa molto ardua, che non lascia spazio a tregue e riposi, chiedendo sforzi e responsabilità non da tutti. Non posso in alcun modo mettere in discussione la sua grande espressività e il suo promettente talento.

Francesco Perlini

Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 19.07.2019