Recensione “Arturo. Un discorso sulle stelle”

Nell’universo respirano innumerevoli stelle, sulla Terra circa quattro miliardi di uomini. Ognuno di loro illumina un percorso davanti a sé fino a esaurirsi, chi troppo presto chi mai. Si dice che quando un corpo celeste muore, rilascia delle minuscole particelle vaganti nell’universo per millenni. Per Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich – autori di Arturo, secondo spettacolo in scena a Direction Under 30, vincitore del premio delle Giurie – quei residui sono ricordi, voci, parole e gesti di due padri che non ci sono più. Sul palco infatti raccontano del proprio genitore, del rapporto con lui e di come “Arturo”, la stella più luminosa del tramonto, ha invaso così prepotentemente le loro vite.

Nella calda luce del proscenio, Laura e Niccolò stanno sul palco in veste di autori e non di attori, come specificano più volte nel corso dello spettacolo. Unici e veri protagonisti dello spettacolo, se non uscissero dalle loro bocche, quelle parole risulterebbero finte: loro e nessun altro potrebbe raccontare queste due vite, passate ma ancora presenti.

Ogni spettatore è invitato a partecipare attivamente, nessuno escluso. La prima fila completa i titoli delle scene scritte su grandi lavagne a forma di puzzle, che i due protagonisti posizionano all’interno di una imponente cornice. Inevitabilmente i pezzi finiscono per incastrarsi alla perfezione e a tessere la drammaturgia. Seguendo questa logica, ogni replica di Arturo è diversa dall’altra. Fin dal principio, con la richiesta di scrivere su dei foglietti bianchi un pensiero sul proprio padre, l’atmosfera coinvolge ogni persona seduta in platea. Una sensazione che resta attaccata con prepotenza allo spettatore fin dopo la fine dello spettacolo: all’uscita dalla sala, infatti, si può trovare un grande libro, contenitore di tutti quei pensieri, nuovo narratore di innumerevoli storie.

Con un ritmo sostenuto, equilibrato tra ironia e riflessione, Arturo ci coinvolge ed emoziona, soprattutto perché tutto ciò che viene detto sul palco è autentico: i non-detti, i rimpianti, le cose che si sarebbero volute dire o fare, impregnano la stanza di un velo di tristezza, ma anche un po’ di malinconia e nostalgia. Sono sentimenti che invadono ogni anima, unita a a quella successiva in una rete di consapevolezza nata senza lo sforzo di nessuno. Si disegna una bolla di comfort, come se le pareti fossero cuscini morbidi pieni di ricordi e memorie piacevoli, consapevoli, però, di avere a che fare con consistenze diverse: verità scomode e atti mancati fanno più male della gomma piuma. Sotto di loro, incastonate nel pavimento, tante domande a cui, probabilmente, non c’è e non ci sarà mai risposta. Al centro, la più ingombrante di tutte sovrasta e prova a oscurare quelle piccole nuvole bianche: perchè non ci sei più?

Adesso sul palco, ci sono solo Laura e Nicco spogliati del loro dolore e circondati da frammenti di vita. La continua ricerca di sguardi e espressioni traduce una richiesta silenziosa di prendersi per mano e ascoltare, capire e condividere emozioni e sentimenti magari mai detti o ripetuti troppe poche volte.

Eleonora Poli