Recensione: “Un’altra storia?”

Che cosa succederebbe se ci accorgessimo che la storia non è che un dispositivo narrativo dettato dai suoi vincitori, da chi ne ha assunto il controllo? In questo caso,  sarebbe necessario ricercare fonti atte, se non a smentire, quantomeno a mettere in discussione la storia che (non) ci insegnano?

Abbandonate ogni forma ipotetica o voi che v’apprestate a leggere.

A provarci è Casa Nostra lo spettacolo (nome e attributo) di Hombre Collettivo arrivato tra i sei finalisti di Direction Under 30, meritandosi all’unanimità il premio della Giuria Critica del festival e già vincitore del Premio Scenario Infanzia 2020.

La ricerca di linguaggi diversi dal semplice uso delle parole, che siano efficaci per un pubblico di giovani spettatori, porta a toccare teatro di figura, teatro d’oggetti, teatro civile e documentario – se non inchiesta -. Questa moltitudine di approcci procede di pari passo con la multimedialità dei mezzi: televisione, canzoni, giocattoli.
Un televisore – il quale ha un valore simbolico di per sé, trattandosi di “sua emiTTenza Silvio Berlusconi” – è posto al lato del palco e riproduce spot, varietà con le
ragazze cin cin, video music a scandire i punti della storia sui quali ci si vuole soffermare, interviste a Borsellino e così via. La televisione non ha bisogno di un confronto con noi per pervaderci, difatti nello spettacolo è lei il fulcro narrativo, è lei la fonte di formazione e d’informazione.

Le canzoni (Wild World, Long Train Running, I Can’t Stop Loving You, That’s Amore) fanno da spartiacque leggeri – eppure anch’esse piene di senso e contenuto – agli eventi che volevano sottolinearsi, con l’aiuto dei dadi con lettere a scandire i vari eventi cruciali e la difficoltà di farlo; alle volte, i dadi, da semplici sigle con date si trasformano in generatori di riflessioni, come succede cambiando le vocali di “pAzzi, pIzzi, pEzzi” o spostando l’accento di “pentìti” in “pèntiti”. Infine i giocattoli: tra bambole, soldi del monopoli e cavalli per connotare un po’ la figura del Cavaliere, e ancora pupazzi, palloncini rossi, pistole giocattolo, trenini, macchine a narrare/connotare avvenimenti come la strage di Capaci o l’ascesa di Berlusconi e della Seconda Repubblica con tanto di torta, candeline e bicchieri da spumante.

L’intento è senz’altro quello di cercare di stimolare la curiosità e alla riflessione tanto un pubblico a digiuno dei temi in scena, quanto chi ne sa già. Impresa non facile ma di certo non impossibile, se si tratta di stuzzicare e non istruire didatticamente.

Quanto ai personaggi in scena, gli “attivi” sono tre, il “passivo” uno. I tre sono vestiti a tratti da bambini con felpe dai colori accesi (rosso, verde e blu), a tratti in giacca e cravatta nere con camicia bianca alla man in black, o come degli agenti della Cia, o rimandando a un generico immaginario da colletti bianchi. Il “passivo” è invece sempre munito di smoking e barba, e assiste all’angolo del palco allo spettacolo, senza influirvi.

Inizia tutto con una partita a Monopoli tra due bambini. La storia è una stanza dei giochi in cui siamo costretti a stare, nonostante le dinamiche ingiuste, contraddittorie, controverse. La storia è una partita a Monopoli in cui vince chi ha o ottiene il monopolio per mezzo del gioco sleale. Entra in scena uno scavatore giocattolo, porta tre casette rosse al bambino (bianco) che, grazie ad esse, vince la partita.

Casa Nostra è il primo ambiente socializzatore, molto prima e molto dopo la scuola; vale a dire il primo spazio in cui ci formiamo come esseri influenzati dall’intorno. Casa nostra è una cosa nostra, è la nostra sfera privata: la conquista della sfera pubblica, del mercato, del potere è stata poter entrare nel nostro spazio intimo tramite televisione e i vari mass media a seguire. Quel controllo che Orwell chiamò Big Brother non è mai stato più vicino. È stata quella “l’intuizione” che la politica e in particolare Berlusconi hanno avuto assumendo il comando.

Oltre all’intento di lanciare suggestioni e spunti di riflessione su collusioni, misteri, pezzi mancanti dei primi anni ’90, comunque, sono la ricerca e la resa dei linguaggi utilizzati in scena a colpire e – anche – a destare dubbi: il target di “destinazione” è quello compreso tra i 14 ai 18 anni, o più genericamente le nuove generazioni, così diverse e con così diversi approcci alla comprensione e alla memoria. La domanda più ricorrente tra noi in giuria è stata: è possibile comunicare efficacemente con una così complessa categoria giovanile su un così altrettanto complesso periodo storico, spesso bypassato dalla stessa istituzione scolastica?

Lo chiediamo all’unica ragazza rientrante in quella fascia di età tra le due giurie del festival, Celeste, la quale dichiara di sentire “casino e nulla”, appena dopo aver assistito allo spettacolo. Ha la curiosità di andare a documentarsi, ma afferma di essere perplessa della presa che questo spettacolo potrebbe avere sui suoi coetanei, ai quali quei tratti di storia sono per lo più ignoti. A quel punto mi sono chiesta quale fosse l’obiettivo, il senso di una formazione interiore – altra (o perlomeno ulteriore) rispetto alla più finalistica educazione a “lavoratore/cittadino del domani” in quanto le nostre vite sono irriducibili al solo lavoro e in quanto siamo cittadini da che nasciamo, non acquisiamo importanza con la crescita soltanto perché da adulti siamo più profittevoli per il sistema, col contentino del voto democratico -.

Mi torna alla mente l’impianto didattico francese per cui la storia si studia per problematizzazione: c’è una linea del tempo, una domanda generica su un tema e diversi tipi di documenti da cui far nascere una critica, una ricostruzione personale, per cui l’apprendimento diventa attivo. Casa Nostra mi ha dato proprio questa impressione. Fornire strumenti, stimoli per cogliere qualcosa che, seppur frammentato, si sedimenti nella coscienza di ognuno, alimentando uno spirito critico oltre che la conoscenza della storia (o meglio delle storie, essendo i punti di vista svariati).

Crescere è forse imparare a costruirsi le domande decostruendo le risposte date.

Giulia Damiano

 Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 23.07.2021